La tre giorni sui Pirenei ci ha lasciato sensazioni contrastanti. Come al solito lo scenario naturale di queste montagne così verdi fa emozionare ed è un incentivo per la visione delle tappe.
Per i corridori è un po’ meno bello, visto che anche quest’anno si sono beccati tanto caldo e pure la grandine, che ha suggellato l’impresa di un redivivo Dumoulin.
Ma se la natura ha rispettato le attese, non si può dire altrettanto della corsa. Parecchia noia, interrotta per un momento da quello che era ritenuto il più noioso di tutti.
Chris Froome ha sorpreso tutti e forse persino se stesso. Quell’attacco sulla discesa del Peyresourde non l’avrebbe predetto neanche il più folle dei bookmakers. Un attacco tutto testa e furbizia, mentre il gruppo si era addormentato insieme agli spettatori e Quintana si trovava con la mente in mondi paralleli.
Froome ha voluto dimostrare che ha lavorato anche in discesa ed è migliorato su quella dannata bici che spinge come un trattore. Ha voluto gridare al mondo che anche lui è capace di dare spettacolo e ha il ciclismo nel sangue: non è un ciclocomputer umano.
Dopo il Peyresourde Froome è entrato nella cerchia dei campioni veri, quelli di cui il pubblico si può innamorare e che fanno emozionare. Eppure non è tutto oro quel che luccica: perché Froome, pur provandoci, non ha per ora dimostrato quella superiorità in salita degli scorsi anni e non si è mai scrollato di dosso Quintana. Questo attacco potrebbe essere stato anche un tentativo di difesa nei confronti di una preoccupante consapevolezza di non essere l’ammazza Tour. E se questo giro di Francia è più aperto di quel che potrebbe sembrare lo scopriremo subito, a partire dal Mont Ventoux.
Intanto il britannico si è portato a casa tappa e maglia gialla mentre tutto il mondo si chiede quando Nairo attaccherà. Il colombiano sembra imprigionato nello stucchevole attendismo delle tattiche di Unzue e della Movistar.
Di sicuro appare migliorato nel saper seguire Froome ma potrebbe essere anche il keniano bianco ad andare più piano. La verità è che vogliono perdere meno secondi possibile e probabilmente attaccare Froome sulle Alpi, intuendo suoi possibili piccoli cedimenti. Però vedere quel corridore dal talento immenso in montagna che non ci prova fa male al cuore degli appassionati e fa male allo spettacolo.
Così come fa male vedere un Aru così poco incisivo e così tanto in difficoltà: perché nessuno pretende che formi il trio con i due marziani di sopra ma che almeno non perda da Adam Yates sì. E’ così frustrante aspettare sempre la resurrezione finale come Nibali al Giro ma è l’unica cosa che possiamo sperare perché il terzo posto appare già molto difficile. E’ vero che i francesi, oltre ad aver perso la finale degli Europei, si sono sciolti anche sui Pirenei.
Thibaut Pinot ( per lui sono sempre indigesti quando vengono prima delle Alpi) e Warren Barguil ci hanno messo tanta volontà ma proprio non vanno. Ma l’ antagonista di Aru non è solo Bardet, l’ultima carta transalpina da giocare. Ci sono anche Porte e Dan Martin, che sono apparsi più efficaci e solidi del sardo. Poi sì, manca un grande nome e lo sapete: Alberto Contador, promesso sposo della Trek, ha dovuto abbandonare causa caduta e febbre. E’ un peccato enorme, è la legge dei Pirenei belli e dannati.
Il pistolero, inutile negarlo, ci mancherà. Ma state certi che lo rivedremo a Rio come un terribile avversario.
Articolo a cura di Daniele Gastaldi